Sogno di una sera di piena estate

Mi piace questa Milano agostana, silenziosa, quasi deserta. Un po’ meno questo clima torrido, gli abiti intrisi di sudore non appena si passa da un ambiente climatizzato all’asfalto rovente della strada.
Nonostante la calura ho fatto un salto in palestra, sapendo già che l’allenamento sarebbe stato risicato, ridotto all’osso, giusto per fare un minimo di attività fisica e i saluti di rito. Non di certo per superare la prova costume, a quella ci ho rinunciato da un pezzo.

Esco sfatto, sfinito, tuttavia passeggiare per le vie del mio quartiere, mentre i Motley Crue mi accompagnano con le  note di Home Sweet Home, mi dà una sensazione di rilassamento, di agio. Perché in fondo questa è casa mia, il luogo dove sono nato e cresciuto, il custode di gran parte dei miei ricordi più belli, una parte di me che non voglio dimenticare. Sarà l’effetto della senescenza, ma mi riesce sempre più difficile allontanarmi da ciò che è diventato il mio quotidiano, la mia vita. Vorrei poter essere in più posti contemporaneamente, non dover mai lasciare i luoghi che sento miei. Ubiquità, si dice. Ecco, vorrei possedere quel dono, ma non ho nulla di divino, quindi mi accontento di essere qui, ora.

M’intristisce un po’ vedere le saracinesce abbassate dei negozi. Il sapere che non è una questione di orario, che quelle serrande non verranno più aperte. Mi mancano il faccione pacioso del macellaio, la pancia debordante del salumiere, i baffoni del panettiere. Mi mancano i loro saluti dall’uscio delle botteghe. Mi manca l’umanità del quartiere. Se chiudo gli occhi posso quasi vedere il dipanarsi delle vetrine, il susseguirsi di negozi che animavano questa periferia.

Un clangore di lamiere mi riporta con i piedi per terra. Interrompe la vaneggiante magia di quest’attimo. La quiete, il silenzio, la sensazione di pace svaniscono, due auto si sono scontrate. La stupidità umana non ha limiti, la città vuota sembra concedere ai più furbi, o presunti tali, libertà altrimenti precluse, come passare con il semaforo rosso.

Peccato, per un istante mi sono quasi illuso che Milano fosse tornata quella di una volta, quella in cui nelle calde sere estive potevo ancora sentire il frinire dei grilli, mentre mangiavo un gelato, seduto sulle panchine dei giardinetti di fronte alla chiesa. Peccato davvero.

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