
Avevo contribuito con un mio racconto, selezionato tra centinaia di storie ricevute dall’organizzatore; era stato inserito nel libro “Quella volta sul ponte”, libro che sarebbe poi stato messo in vendita in occasione della mostra a Palazzo Ducale dal 14 Dicembre 2018 al 3 Gennaio 2019, e il cui ricavato devoluto alle vittime del crollo del ponte Morandi.
Da una iniziativa che Luca Bizzarri, Presidente di Palazzo Ducale di Genova e genovese doc, aveva divulgato in rete pochi giorni dopo il crollo del Ponte Morandi, il 27 Agosto 2018 alle ore 12:42 inviai l’email con il mio racconto, che proprio nei giorni successivi al crollo stesso avevo scritto, e che riporto più sotto.
Primo pomeriggio di un Giovedì di una normalissima settimana lavorativa e sono in auto con il mio collega inglese per un viaggio di lavoro iniziato la Domenica precedente a mezzogiorno, partendo da Milano, ‘prelevando’ il collega, appunto, all’aeroporto Marco Polo di Venezia-Tessera in arrivo da Newcastle via Amsterdam per recarci poi nel Friuli, per l’esattezza a Monfalcone, dove sarebbe poi iniziata la nostra settimana di visite alla clientela, che ci avrebbe portato a percorrere 1500 Km di autostrade e strade del Nord Italia, passando dal Veneto all’Emilia Romagna, alla Toscana e alla Liguria.
Proveniamo da La Spezia e, per raggiungere uno dei nostri clienti con l’azienda a Cornigliano, decidiamo di percorrere il Ponte Morandi, imboccare l’uscita Genova Aeroporto per ritrovarci da lì, in pochi minuti, a presenziare alla riunione con l’ingegneria e l’ufficio acquisti per la discussione di un progetto molto importante.
Non ho mai provato alcun timore nell’attraversare in auto il torrente Polcevera ad un’altezza di una cinquantina di metri su quel ponte strallato che ricorda, sì, il Ponte di Brooklyn a New York, quello della gomma da masticare. Sono veramente tanti i viadotti e i ponti, alcuni molto più alti e più esposti ai venti e alle condizioni meteorologiche del momento, che ho percorso e percorro normalmente, basti pensare anche solo all’insieme di viadotti della A26 nel tratto tra Ovada e Genova; altissimi, interminabili, alcuni che girano quasi su sé stessi con un tornante unico infinito.
Ho letto e sentito di molti che, attraversando il Ponte Morandi, hanno notato vibrazioni, lo hanno sentito oscillare quando il proprio mezzo tendeva a spostarsi lateralmente di centimetri sotto l’effetto del vento trasversale di tramontana che soffia forte dalle montagne verso il mare in quei giorni che riportano il cielo sereno su tutta Genova.
Io francamente no, ma ho avuto modo di osservare il ponte da vicino, da sotto, proprio in quelle occasioni di visite al nostro cliente. E in un paio di occasioni, quando il parcheggio interno all’azienda, riservato ai visitatori, era pieno, dover lasciare la macchina su Via Nicola Lorenzi, proprio sotto il Morandi, usurato in molti punti con la ruggine a sporcare l’intonaco, ove presente, quello stesso intonaco che in altre zone è ormai mancante e lascia spazio ai tondini di acciaio, ben in vista, della struttura in cemento armato del ponte stesso.
E più di una volta, ho scrutato quel ponte dalla finestra dell’ufficio dell’ingegnere presso il quale si teneva la riunione di turno: semplicemente impressionante, sembrava di averlo all’interno dell’azienda, sembrava di poterlo toccare con le dita, sembrava di sentire quel rumore assordante di migliaia di mezzi che ogni giorno lo attraversano. O meglio, lo attraversavano.
Fu proprio in quel Giovedì che fummo costretti a parcheggiare l’auto proprio sotto il ponte e, appena scesi, lo squadrai per bene, rivolsi lo sguardo prima verso l’alto, per poi abbassarlo e percorrere con il mio campo visivo tutta la sua lunghezza, da est a ovest, finendo con l’incrociare lo sguardo del mio collega, al quale mi rivolsi e in inglese gli dissi: “Can you imagine if one day this bridge should collapse?”